«All’italiana, con passione disperata»: Manon Lescaut
Terza opera di Giacomo Puccini, una ricezione calorosa già dalla prima rappresentazione – avvenuta al Teatro regio di Torino il 1° febbraio 1893 –, Manon Lescaut simboleggia una pietra miliare nella storia del melodramma italiano degli ultimi anni del XIX secolo. Non è un caso che, per inaugurare il 2022 nella città natale del compositore, il Teatro del Giglio di Lucca abbia scelto di proporre un nuovo adattamento del lavoro, che verrà presentato nei giorni 28 e 30 gennaio con regia di Aldo Tarabella e direzione d’orchestra di Marco Guidarini.
Manon Lescaut di Puccini
Il soggetto di Manon Lescaut apparve per la prima volta sulle scene europee firmato da Antoine François Prévost d’Exiles (più comunemente conosciuto come abbé Prévost), col titolo Histoire du chevalier des Grieux et de Manon Lescaut (1731). Il lavoro, recepito come scandaloso negli anni immediatamente successivi alla sua pubblicazione, incontrò il vero successo durante i secoli XIX e XX, grazie al mutamento dell’ambiente culturale europeo: fu allora, infatti, che l’arte si dimostrò pronta a trattare tematiche più vicine a quelle profilate nel romanzo – nello specifico, la principale è la rappresentazione della donna quale femme fatale, capace di condannare l’uomo, anche con un semplice sguardo, ad un amore impossibile e doloroso. La vicenda di Manon Lescaut, diventata, quindi, prototipo di una innovativa e discussa percezione dei sentimenti, si diffuse facilmente anche in altri ambiti, tra cui quello musicale: durante l’Ottocento, in effetti, proliferarono diversi rifacimenti del lavoro sotto forma di melodramma, dapprima in Francia – ove il più conosciuto ed influente fu sicuramente Manon, di Jules Massenet (1884) – ed in seguito anche in Italia, con Manon Lescaut di Puccini. Riuscendo, il teatro d’opera, a focalizzare maggiormente l’attenzione sugli elementi patetici degli intrecci ivi rappresentati, il personaggio di Manon si arricchì in drammaticità e importanza, tanto da catalizzare su di sé l’attenzione complessiva: non si trattava più, quindi, di una vicenda della quale Manon faceva parte, bensì di una vicenda della quale Manon era il fulcro; in altri termini, la donna, nell’Opera, acquisì lo status di protagonista assoluta, al pari delle innumerevoli eroine che popolavano, negli stessi anni, le storie dei più famosi melodrammi europei. Per tale motivo, furono molteplici le soprano che, grazie all’interpretazione di Manon, si spianarono la strada del successo internazionale; tra esse, va indubbiamente ricordato il nome di Emma Zilli, cantante friulana di spicco nel mondo operistico otto-novecentesco, alla quale è dedicato il recente testo di Cecilia Nicolò. pubblicato da NeoClassica.
Le parole e la musica
La genesi di Manon Lescaut di Puccini richiede sicuramente un approfondimento particolare, considerate le vicende singolari ad essa legate. Il libretto, pubblicato per Ricordi, possiede lo statuto di un «discorso a più voci», per dirlo con le parole di Arthur Groos: esso passò, in effetti, tra le mani di numerosi letterati ed intellettuali dell’epoca – in primis Marco Praga (figlio dello scapigliato Emilio) e Domenico Oliva, con i quali la Casa Ricordi aveva stipulato un contratto per un testo operistico basato su questa storia; in seguito esso fu perfezionato e rivisto anche da Ruggero Leoncavallo, Luigi Illica, Giuseppe Giacosa, lo stesso Giulio Ricordi –, fin poi ad essere edito senza alcun autore in copertina. Puccini, dal canto suo, aveva già in mente, probabilmente, un’Opera che trattasse le vicende di Manon Lescaut, considerando che, dalle lettere tra il compositore e Ferdinando Fontana, emerge che il librettista aveva da tempo lanciato l’idea per un eventuale lavoro di questo tipo. Le incresciose vicende legate alla sua gestazione permettono, in ogni caso, di contestualizzare al meglio l’autorialità del lavoro: per quanto sia stato importante il contributo dei numerosi librettisti, il reale autore di Manon Lescaut è Puccini, che agisce tanto dal punto di vista testuale – eliminando l’atto dedicato alla rappresentazione della fuga di Manon e des Grieux –, quanto da quello ermeneutico, poiché si può convenire sul fatto che il vero motore della rappresentazione sia la sua musica. Non una musica qualsiasi, bensì una musica intrisa d’amore e di morte, così come lo stesso Puccini dichiarò in una lettera: se, in effetti, egli sosteneva che altre Manon venivano musicate «alla francese, con cipria e i minuetti», la sua era percepita «all’italiana, con passione disperata».
Fra Puccini e Massenet
Per comprendere al meglio il senso di questo paragone – che si instaura, in sintesi, tra Puccini e Massenet –, il metodo più semplice è quello di fornire un esempio. Si prenda uno dei momenti più tragici della vicenda, che coincide con la denuncia di Manon e la sua conseguente condanna a salpare per l’arido Nuovo Mondo: nell’Opera di Massenet, la supplica di des Grieux alle autorità, mirata ad ottenere la liberazione di Manon, prevede, nella musica, la presenza di un grande e imponente concertato (Atto IV, scena 4, Oui, je vien t’arracher à la honte), con l’ascolto del quale lo spettatore viene catapultato in una situazione di austerità e magnificenza, da sempre ricorrente nel dramma musicale di tradizione francese; Puccini, dal canto suo, àncora il numero al solo personaggio di des Grieux (Atto III, scena unica, Ah! Non v’avvicinate…No! no! pazzo son!), in un ambiente fortemente drammatico e patetico, come emerge tanto dalle parole quanto dalla musica che, come più volte ricorre nel corso della sua produzione, sfrutta il raddoppio del canto da parte dell’orchestra per conferire una maggiore intensità emotiva alla scena. Le parole di des Grieux sono emblema di una situazione tragica, di supplica e preghiera; una supplica, però, che ha del paradossale: non si richiede, come nel caso precedente, che Manon venga liberata, bensì che, insieme a lei, possa salpare anche lui. Il cavaliere implora l’autorità per ricevere una condanna all’esilio con la stessa modalità con cui un esiliato richiederebbe la libertà: la sua libertà, in sintesi, diventa possibile oggetto di scambio di fronte all’amore; un amore disinteressato, pronto a tutto, passionale a tal punto da diventare disperato.
Udite! M’accettate
qual mozzo o a più vile
mestiere… ed io verrò
felice! M’accettate!
Ah! guardate, io piango e imploro!
Vi pigliate
il mio sangue… la vita!
V’imploro, vi chiedo pietà!…
Una differenza abissale caratterizza, quindi, i due esempi: la sensazione di allontanamento rispetto allo stato d’animo dei personaggi che l’ascoltatore percepisce attraverso la scelta di Massenet, viene vissuta, in Puccini, come un momento di forte partecipazione e coinvolgimento emotivo. Da una parte la cipria e i minuetti, dall’altra la passione disperata.
Maria D’Agostino