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Il suono della memoria è il filo conduttore di questo libro, che racconta l’esperienza della musica contemporanea nelle sue interazioni con la dimensione del tempo storico, tra utopia del passato e nostalgia del futuro. La scena immaginaria dell’ascolto e la risonanza del mito nel teatro musicale sono al centro di una narrazione che ci conduce nel laboratorio creativo di quattro compositori italiani di generazioni diverse – Goffredo Petrassi, Luciano Berio, Bruno Maderna e Salvatore Sciarrino – per mettere a fuoco i tratti di un genere musicale che ha svolto un ruolo decisivo nella cultura della seconda metà del Novecento. Un viaggio tra etica ed estetica, scrittura e suono, artigianato e stile, per scoprire che il suono della memoria potrebbe essere proprio quello di cui abbiamo bisogno, e che desideriamo di più.
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I saggi raccolti in questo volume di Alessandro Arbo discutono alcuni principali temi della filosofia della musica nel Novecento: dalla presenza del mito di Beethoven nella cultura centroeuropea, all'interpretazione delle rapide metamorfosi dei materiali sonori posteriori alla crisi del sistema tonale, al comune proposito di identificare nella musica un'esperienza della temporalità più originaria o autentica rispetto a quella imposta dai ritmi dell'era tecnologica. L'esame critico coinvolge i criteri di interpretazione dell'opera musicale fondati su paradigmi teorici quali la dialettica, la fenomenologia, l'ermeneutica, la teoria della ricezione.
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Per la novità della concezione del suono, la pioneristica attenzione alle leggi della percezione e dell’ascolto, il rilevante contributo nel campo della vocalità e del teatro musicale, Salvatore Sciarrino (Palermo, 1947) è uno dei protagonisti del panorama musicale contemporaneo. Tra i compositori italiani viventi è il più noto ed eseguito. Il suo precoce talento (debuttò nel 1962, appena quindicenne, durante la terza Settimana Internazionale Nuova Musica di Palermo) si è dispiegato autonomo ma in diretto rapporto con le opere dei compositori antichi e moderni. Dopo oltre cinquant’anni, il suo catalogo è in continuo sorprendente sviluppo.
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In questo volume indirizzato a musicisti e interpreti, il violoncellista Cosimo Carovani riflette sul mondo al quale appartiene.
Nelle discussioni intorno alla musica, salta fuori spesso lo scettico di turno con la frase «parlare di musica è come ballare di architettura» (una citazione attribuita, erroneamente, a Frank Zappa): un po’, in fondo, lo pensiamo tutti, ma dall’antichità fino a oggi non si è mai smesso di parlarne. Non si tratta di mettere in discussione l’ineffabilità dell’arte dei suoni; ma, al contrario, di prendere atto che da quel potere impalpabile può scaturire una costellazione di pensieri e di parole. Rameau, Schumann, Berlioz o Wagner sono solo alcuni dei molti musicisti che hanno dedicato pagine e pagine – teoriche, critiche o filosofiche – alla loro arte, come in un continuo lavoro maieutico su sé stessi e sulla musica. Parlare di musica è importante – altroché se lo è! Cosimo Carovani parla in queste pagine di un potere della musica di operare trasformazioni interiori: perché dovremmo autocensurarci ed evitare di dare espressione verbale a qualcosa che, pur apparentemente inesprimibile, è in grado di cambiare la nostra vita? (dall’introduzione di Luca Ciammarughi)
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Assistere ad una Divina Liturgia è come entrare in un edificio sonoro sorretto dagli inni e dai salmi che il coro esegue alternandosi all’officiante e ai fedeli. Anche nell’ambito migratorio preso in esame in questo volume, nonostante la mutevolezza delle formazioni corali e la discrepanza architettonica degli spazi sacri in cui vengono riproposte le Divine Liturgie ortodosse, i canti continuano ad essere il tramite tra il mondo terreno e il divino. I romeni presenti in Calabria, grazie ai canti della liturgia, non solo innalzano le lodi a Dio, ma creano dei ponti di collegamento immaginari con la madre patria, contribuendo a costruire e a mantenere una memoria collettiva nazionale nella terra di nuovo insediamento. Memoria che viene rafforzata dalla storicità e dagli stretti legami esistenti tra confessione ortodossa e nazione romena. Legami che a loro volta si rinnovano e si consolidano in ogni celebrazione mediante una Învierea (lett. “Resurrezione”), ossia una rinascita dei valori di fede e dell’amore verso la terra d’origine.
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Questo volume propone un’indagine su alcune reciproche influenze tra la cultura musicale di Italia e di Francia nel Novecento. I saggi qui pubblicati sono scaturiti da un convegno tenutosi a Palermo nel 2008 in ideale prosecuzione con due precedenti incontri di studio a Strasburgo e a Cremona. Ancora oggi quei lavori, con qualche piccolo aggiornamento, mantengono attualità e interesse. Gli scritti – di Jean-Jacques Nattiez, Carlo Serra, Gianfranco Vinay, Raffaele Pozzi, Angelo Orcalli, Luigi Manfrin, Gaetano Mercadante, Pietro Misuraca, Gabriele Garilli, Amalia Collisani, Pierre Michel, Alessandro Arbo, Ingrid Pustijanac, Giovanni Damiani – disegnano una rete variegata di flussi, convergenze, echi, alleanze da Dallapiccola e Messiaen ai compositori più recenti.
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Itinerari della canzone tra i media esplora il ruolo della canzone popolare nella storia sociale, culturale e artistica delle società contemporanee attraverso gli immaginari, le narrazioni e le trasmissioni. Itinerari della canzone tra i media esplora il ruolo della canzone popolare nella storia sociale, culturale e artistica delle società contemporanee attraverso gli immaginari, le narrazioni e le trasmissioni. Ogni saggio è incentrato sull’analisi di un singolo brano e dei passaggi che compie attraverso i media e le opere in cui è inscritto. La canzone diventa quindi un oggetto (inter/trans)mediale che ci permette di approfondire diverse questioni tra cui: il ruolo della canzone nel panorama mediale; come si articola la narrazione di un brano; le relazioni che si stabiliscono tra media e pubblico tramite la canzone; le questioni di genere e di rappresentazione.